Ieri abbiamo celebrato, sebbene da recluse, la Liberazione dell’Italia dal Nazifascismo ed oggi vogliamo parlare di storie che difficilmente si trovano nei libri, storie taciute per troppo tempo e che solo in anni recenti stanno venendo alla luce.
Il comune denominatore di queste storie va oltre la contingenza temporale: c’è un filo che unisce la discriminazione operata dai regimi autoritari nei confronti delle minoranze e la discriminazione successiva operata dalla Storia ufficiale post bellica nei confronti del genere femminile e delle minoranze perseguitate dal delirio Nazifascista, quella Storia che ha fatto sì che noi identifichiamo l’Olocausto unicamente come il genocidio del popolo ebraico e la Resistenza partigiana come una lotta di uomini in cui il ruolo delle donne era solo accessorio.
Lo United States Holocaust Memorial Museum calcola che circa 15-17 milioni di persone persero la loro vita come risultato diretto dei processi di "arianizzazione" promossi dal regime nazista, tra il 1933 e il 1945.
Oltre ai sei milioni di ebrei perirono infatti Rom e Sinti, persone di etnie slave (russi, serbi, ucraini, polacchi, sloveni), persone di etnia mista (i cosidetti “Bastardi della Renania”[1])persone con disabilità fisiche e psichiche (spesso usate come cavie, come ben illustrato nel libro “Medicina Disumana”[2]), dissidenti politici (comunisti, socialisti, anarchici), Testimoni di Geova, prostitute, asociali, alcolizzati cronici, persone omosessuali e transessuali.
Si è soliti riferirsi allo sterminio degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti come Omocausto. Si stima che gli omosessuali internati nei lager siano stati almeno 50.000[3]. Gli omosessuali maschi si distinguevano dagli altri prigionieri per via di un triangolo rosa cucito sulla divisa all'altezza del petto, le lesbiche venivano contrassegnate da un triangolo nero.
Il fatto che di questi stermini sistematici si parli poco e nulla e che siano approfonditi solo sul fronte dell’attivismo Rom e LGBTQ+, la dice lunga sull’omofobia e sul razzismo interiorizzati dei Paesi “democratici” post bellici. Tanto che la “Giornata della Memoria” istituita nel 2000 per ricordare gli ebrei vittime della persecuzione, lo sterminio dei rom, sinti, persone omosessuali non venne nemmeno preso in considerazione (sembra per ottenere il voto della destra alla legge, approvata all'unanimità in Parlamento).
Similmente all'oblio degli olocausti taciuti, il ruolo delle donne nella Resistenza non è stato riconosciuto dalla storiografia italiana ufficiale per decenni.
Nel 1976 Anna M. Bruzzone pubblica il celebre saggio “ La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi”[4] che raccoglie le testimonianze autentiche di alcune protagoniste della Resistenza e restituisce piena dignità alle loro lotte.
Secondo le cifre dell’ANPI sono state censite:
35.000 le donne che operavano come combattenti
20.000 le patriote, con funzioni di supporto
70.000 le donne organizzate nei GDD
4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti
2.756 il numero delle deportate nei lager tedeschi
2.900 le donne giustiziate o uccise in combattimento
512 le commissarie di guerra
1.700 le donne ferite[5]
La Resistenza fu una stagione di emancipazione per le donne, iniziata col famosissimo "sciopero del pane" del 16 ottobre del 1941 a Parma, giorno in cui, esasperate da fame e privazioni, le donne assaltarono un furgoncino della Barilla e, formarono un corteo numeroso che venne disperso dagli idranti fascisti. Molte di queste donne verranno arrestate e rinchiuse, bollate come “isteriche”, “poco di buono” ed “asociali”
Questa manifestazione di massa è considerata “il momento di ingresso delle donne nel movimento antifascista e preludio del salto di qualità del loro ruolo all'interno del movimento clandestino. Salto di qualità dovuto anche alla graduale maturazione di una coscienza politica che fra le donne possedeva solo chi lavorava in fabbrica a causa delle attività sindacali e di propaganda antifascista che lì erano svolte. Nel momento in cui decidevano di essere contro il fascismo, esse erano obbligate non solo a schierarsi politicamente, ma anche a rompere oggettivamente con la separatezza della propria tradizionale domesticità per proiettarsi sulla scena pubblica”[6].
Come è anche stato dimenticato fino ad anni recenti il fenomeno delle tantissime donne rinchiuse nei manicomi durante il Fascismo perché ribelli, sovversive, lesbiche, non corrispondenti all’ideale di “donna fascista”.
Un saggio di Annacarla Valeriano “Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista” , indaga sull’uso dei manicomi per reprimere i comportamenti di «quelle donne che si discostano dall’ideale fascista della sposa e madre esemplare e che con le loro condotte intemperanti, con le loro esuberanze, con la loro inadeguatezza fisica, rischiano di intaccare il patrimonio biologico e morale dello Stato»[7].
All’istituzione psichiatrica vengono consegnate «quelle donne che si rifiutano di conformare il proprio stile di vita agli ideali proposti dal fascismo e che, proprio per questa ragione, hanno bisogno di essere rieducate attraverso la disciplina manicomiale per riportare le loro condotte entro i recinti di una normalità biologicamente e socialmente costruita».
La maggiore nemica del fascismo, quindi, fu proprio l’emancipazione femminile. Le prostitute, le levatrici e le lesbiche. Insomma, tutte quelle donne che, in qualche modo, non pensavano alla maternità come unico scopo della loro esistenza e, se per mestiere, facevano nascere bambini, non dovevano osare interrompere gravidanze indesiderate”[8]
E’ ovvio che l’unica scelta per queste donne “ribelli” e “deviate” sia L’antifascismo, come ci racconta anche Goliarda Sapienza nel suo romanzo “L’Arte della Gioia”.
L’emancipazione femminile, fortemente ostacolata dal Regime Fascista e dalla Chiesa durante il ventennio, non ha subito una sorte migliore nel periodo successivo. La donna, ancora una volta angelo del focolare, moglie e madre, ha dovuto contribuire alla ricostruzione del Paese in vesti più tradizionali, col solo vantaggio di aggiungere al lavoro domestico quello fuori casa.
Come il ruolo delle donne nella Resistenza è stato a lungo travisato, così la storia del contributo dei femminielli [9]. alle Quattro Giornate di Napoli è stata addirittura cancellata dalla storiografia ufficiale.
Antonio Amoretti,probabilmente l’ultimo partigiano ancora in vita ad aver combattuto durante le Quattro Giornate di Napoli e segretario di Anpi Napoli, ha ricordato ieri [10] il ruolo fondamentale dei femminielli in questa rivolta che portò alla liberazione di Napoli dai nazifascisti un giorno prima dell’arrivo degli Alleati.
“Quando ci fu la barricata a San Giovanniello i femminielli erano in prima linea, secondo la logica che non avevano niente da perdere: non avevano figli, la famiglia li aveva ripudiati e la società li rispettava culturalmente ma comunque entro certi limiti” spiega. “Abituati a fronteggiare la polizia e il potere, i femminielli non si tirarono indietro davanti all’occupazione nazista”[11].
Sono tante, troppe le figure dimenticate dalla narrazione ufficiale, che hanno lottato, sofferto e vissuto una vita di privazioni per portare avanti gli ideali di libertà e pari opportunità all'interno di una storia e di un paradigma che non li accettava. Grazie alla loro lotta e al loro sacrificio possiamo oggi godere dei diritti civili faticosamente raggiunti e della possibilità di gridarli nelle piazze. E' per questo che abbiamo il dovere di ricordarli, non solo il 25 Aprile, ma sempre.
NOTE
[1] Il fatto che per i mulatti non esistesse un programma di sterminio di massa non impedì che venissero sottoposti alle peggiori torture: utilizzati come cavie umane, sterilizzati, imprigionati e spesso uccisi. Quando la Renania, dopo la Prima Guerra Mondiale, venne occupata dalle truppe alleate, arrivarono anche i soldati francesi delle colonie, neri: i figli che ebbero con donne tedesche vennero chiamati "bastardi della Renania". - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/giorno-memoria-porrajmos-omocausto-olocausto-a97dad1b-c8bb-4ffe-ba83-314e88ef5ac5.html
[2] “Medicina disumana- Documenti del Processo di Norimberga contro i medici nazisti”, Curatore Alexander Mitscherlich, Editore Feltrinelli 1967
[3] Vittime dimenticate, lo sterminio dei disabili, dei rom, degli omosessuali e dei testimoni di Geova di Giorgio Giannini, pag. 78, Stampa Alternativa, Viterbo 2011
[4] La Resistenza Taciuta: dodici vite di partigiane piemontesi, Torino, Bollati Boringhieri, 2003 (1^ ed. 1976 )
[7]https://www.corriere.it/cultura/17_dicembre_11/malacarne-annacarla-valeriano-ospedali-psichiatrici-
Venusia Vega
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