"In Europa la violenza contro le donne, inclusa la violenza domestica, è una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani basata sul genere ed è ancora avvolta nel silenzio"
Comincia così il rapporto esplicativo della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), il primo strumento in Europa a fissare norme giuridicamente vincolanti per prevenire la violenza basata sul genere, proteggere le vittime di violenza e punire gli autori dei reati.
ADOZIONE, FIRMA E RATIFICA
Il Consiglio d’Europa fin dal 1990 ha intrapreso una serie di iniziative per promuovere la protezione delle donne contro la violenza sulla scia del lavoro svolto dalle Nazioni Unite, (come la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne – CEDAW, approvata nel 1979).
Queste iniziative hanno portato all’adozione, nel 2002, da parte del Consiglio d’Europa, della Raccomandazione Rec(2002)05 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla protezione delle donne dalla violenza e la realizzazione di una campagna a livello europeo Campaign to combat violence against women, including domestic violence negli anni 2006-2008.
La campagna ha rivelato l'ampiezza del problema in Europa e mostrato quanto le risposte nazionali alla violenza contro le donne e alla violenza domestica siano diverse in ogni stato. La necessità di norme giuridiche armonizzate per assicurare che le vittime beneficino dello stesso livello di protezione ovunque in Europa stava diventando evidente.
Il Consiglio d'Europa ha, dunque deciso che era necessario stabilire degli standard completi per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica.
Nel dicembre 2008, il Comitato dei Ministri ha istituito un gruppo di esperti incaricato di preparare un progetto di convenzione in questo campo. Nel corso di poco più di due anni, questo gruppo, chiamato CAHVIO (Comitato ad hoc per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica), ha elaborato un progetto di testo. Ha finalizzato il progetto nel dicembre 2010 e la Convenzione è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011.
È stata aperta alla firma l'11 maggio 2011 in occasione della 121a sessione del Comitato dei ministri a Istanbul. Dopo la decima ratifica da parte di Andorra il 22 aprile 2014, è entrata in vigore il 1° agosto 2014.
La convenzione è stata ratificata finora da 34 stati, e solo firmata da 12 paesi compresa Armenia, Ukraina, Gran Bretagna, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria etc.. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono giuridicamente vincolati dalle sue disposizioni.
In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato all'unanimità la ratifica della convenzione in data 28 maggio 2013 e sempre all'unanimità il Senato ha convertito il testo in legge il 19 giugno 2013.
Nel novembre 2019 il Parlamento dell'Unione europea ha adottato una risoluzione, in cui ha invitato il Consiglio europeo a completare la ratifica della Convenzione da parte dell'Unione europea ed esortato i sette Stati membri (Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Lituania, Lettonia, Slovacchia, e Regno Unito) sottoscrittori della Convenzione a ratificarla senza indugio.
Video La violenza contro le donne non è il destino - Campagna sulla Convenzione di Istanbul di EuroMed Rights
PRINCIPALI NOVITA' RISPETTO AI TRATTATI PRECEDENTI
L’elemento principale di novità è il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e come forma di discriminazione fondata sul genere, comprendente tutti gli atti di violenza che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica, economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.
La Convenzione è il primo trattato internazionale a contenere una definizione di genere. Infatti l'art. 3, lett. c), il genere è definito come "ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini".
A differenza di altri trattati internazionali sulla lotta alla violenza basata sul genere, la Convenzione di Istanbul prevede l'attuazione di politiche globali e coordinate tra gli organismi governativi e nazionali responsabili di prevenzione, persecuzione dei reati e protezione.
"La scelta di combattere la violenza contro le donne riconoscendone le radici sociali, e quindi culturali, è importante per almeno due ragioni. La prima è che consente di considerare la violenza domestica e di genere non più come una “questione privata” ma come un problema politico. La seconda è che delegittima i tentativi di circoscrivere il fenomeno all’ambito della devianza e/o della patologia di chi compie atti di violenza, facendo emergere la connessione strutturale tra discriminazione e violenza entro un modello sociale in cui la costruzione dei ruoli di genere risponde a logiche di potere asimmetriche. In altre parole, nell’evidenziare il carattere strutturale delle discriminazioni basate sul genere, la Convenzione consente di mettere in luce il “continuum di violenza” di cui le donne sono vittima in ragione di condotte oppressive che di volta in volta possono assumere, all’interno come all’esterno delle mura domestiche, forme e intensità differenti" (Paola Parolari, La violenza contro le donne come questione (trans)culturale. Osservazioni sulla Convenzione di Istanbul)
Oltre che con le radici culturali della violenza di genere, la Convenzione di Istanbul si confronta anche con la diffusione transculturale di questo problema tenendo conto del modo in cui i flussi migratori degli ultimi decenni hanno trasformato le società degli stati membri del Consiglio d’Europa. Da un lato, si sofferma infatti su alcune forme di violenza contro le donne con le quali questi stati possono trovarsi oggi a dover fare i conti in ragione del carattere sempre più multiculturale delle loro società (come mutilazioni genitali e matrimoni forzati) e, dall’altro, presta specifica attenzione ai termini in cui le norme in essa contenute devono essere applicate nel caso in cui gli autori e/o le vittime della violenza non siano cittadini degli stati membri in cui risiedono.
La Convenzione, infatti, pone l’integrità fisica e psichica come diritto fondamentale di ogni donna quale che sia la sua provenienza geografica, la sua cittadinanza o la sua cultura d’origine, senza discriminazioni basate sullo status di migrante o di rifugiato art.4.3).
La Convenzione prevede anche la protezione dei bambini testimoni di violenza domestica e richiede, tra le altre cose, la penalizzazione delle mutilazioni genitali femminili. Inoltre, il trattato stabilisce una serie di delitti caratterizzati da violenza contro le donne che gli Stati dovrebbero includere nei loro codici penali o in altre forme di legislazione o dovrebbero essere inseriti qualora non già esistenti nei loro ordinamenti giuridici.
Inoltre, la Convenzione ha un approccio alla lotta e alla prevenzione della violenza di genere di tipo cooperativo che permetta la collaborazione efficace di tutti gli attori (pubblica sicurezza, settore giudiziario, organizzazioni non governative, i media ed altre espressioni della società civile, in particolare quelle rivolte a donne, minori e ai migranti) mediante linee guida e protocolli di azione condivisi e che dovrebbero essere accompagnati da percorsi di formazione specifica sul tema per i vari operatori direttamente coinvolti.
Particolarmente innovativa è la centralità, nell’ambito della Convenzione, del coinvolgimento e della partecipazione della società civile all’interno di tale strategia integrata.
All'art 13 dice, infatti, che gli stati sottoscrittori della convenzione "promuovono o mettono in atto, regolarmente e ad ogni livello, delle campagne o dei programmi di sensibilizzazione, ivi compreso in cooperazione con le istituzioni nazionali per i diritti umani e gli organismi competenti in materia di uguaglianza, la società civile e le ONG, tra cui in particolare le organizzazioni femminili, se necessario per aumentare la consapevolezza e la comprensione da parte del vasto pubblico delle varie manifestazioni di tutte le forme di violenza oggetto della presente Convenzione e delle loro conseguenze sui bambini, nonché della necessità di prevenirle".
Un'altra importante novità che introduce la Convenzione di Istanbul è l'accento sull' empowerment delle donne che vivono violenza perché una donna non è vittima per sempre ma è donna per tutta la sua vita.
Cosa si intende per empowerment?
Esemplificativa è la definizione di empowerment data da Jill M. Bystydzienski: L’empowerment è […] un processo mediante il quale le persone oppresse acquisiscono un certo controllo sulla propria vita partecipando con gli altri allo sviluppo di attività e strutture che consentono alle persone un maggiore coinvolgimento in questioni che le riguardano direttamente. Nel suo corso le persone diventano capaci di governarsi efficacemente. Questo processo implica l’uso del potere, ma non il “potere sulle altre persone” o il potere come dominio come è tradizionalmente il caso; piuttosto, il potere è visto come “potere verso” o potere come competenza generata e condivisa dai diseredati quando iniziano a plasmare il contenuto e la struttura della loro esistenza quotidiana e quindi partecipano a un movimento per il cambiamento sociale” (L’EMPOWERMENT DELLE DONNE Documento di indirizzo, ActionAid , 2020).
Video realizzato da Fondazione Pangea Onlus in occasione della giornata di lancio della rete Reama- Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto
Venusia Vega
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