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Immagine del redattoreLe Tre Ghinee

Oggi parliamo di Drag King: Intervista a Bianco & Spruzzy

Aggiornamento: 18 mar 2021

Per la rubrica #ArteMisie abbiamo intervistato due Drag King storici della scena romana e internazionale.




Bianco

Attrice/attore, performer, regista e cantastorie. Inizia l’avventura drag king nel 2006, fonda insieme ad altr* i ‘Butterfly Kings’ e poi gli ‘Eyes wild drag’. Crea insieme ai suoi compagni di viaggio performance e spettacoli drag e organizza fino al 2015 il festival internazionale di arte queer ‘Genderotica’.

Nel 2017 scrive e mette in scena lo spettacolo teatrale’ Bianco – maschere a fior di pelle’ con la regia di Daria di Bernardo, il cui protagonista è un drag king.

Con l’associazione LABirinti fa laboratori e spettacoli teatrali per bambini e adulti.


Spruzzy

Dalle fucine di Eyes Wild Drag, Spruzzy è un8 gender-drag-person non binari8 che performa, strimpella, spara cazzate inascoltabili ma soprattutto è queer.

Ha organizzato quattro edizioni del festival internazionale queer “Genderotica” (2009/2015) e giratoun po’ di mondo con vari spettacoli insieme a Eyes Wild Drag (gruppo drag non più in attività). Attualmente in pensione, occasionalmente collabora con altr8 artisti per workshop, spettacoli teatrali.


Che cos'è il Drag King e come è nato?


Bianco: È una pratica prima di tutto politica. Drag = trascinare oltre, portare a un confine; King: la quintessenza del maschio. Il genere è rappresentato e raccontato come performatività: lo/gli strereotipo/stereotipi del maschile sono agiti attraverso la postura, lo sguardo, gli abiti e il trucco nel rispetto del codice culturale di riferimento. Si mette in discussione la binarietà dei generi e il risultato è un "perfetto maschio"! Rivelatrice e chiara è la celebre definizione di Judith Butler: "il genere è una copia senza originale".

Nasce negli anni ’90 negli Stati Uniti, poi in UK e Germania, approdando anche in Italia con piccole esperienze milanesi.


Spruzzy: Il drag kinging è il desiderio, il piacere, la fantasia di impersonare il maschile, utilizzando i suoi stereotipi (anche i più beceri) e ribaltandoli per creare nuove maschilità in base al proprio sentire, al proprio vissuto e alla propria idea di maschile, che sia totalmente originale o personalizzato o ispirato a “modelli” reali.


Quali sono le differenze principali con le drag queen?


Bianco: Le differenze sono molteplici. Le sorelle Queen sono certamente più celebri. Il loro femminile è Favoloso, ispirato spesso a dive e a star dello spettacolo. Il Drag King in molti casi rappresenta maschi comuni e ordinari, ma sempre in una posizione dominante e narcisistica. Ogni artista dà accenti e inclinazioni originali al suo king, ma al centro ci sono i caratteri maschili del controllo, dell’occupazione dello spazio e della potenza fallica, rappresentati in funzione parodica o erotica, o anche entrambi contemporaneamente.


Spruzzy: I tempi per il trucco! Scherzi a parte (mica tanto), le drag queen hanno questa favolosità di divismo camp, c’è un’ostentata esagerazione del trucco, dell’estetica, dei costumi per portare all’eccesso una femminilità che spesso diviene parodica, ironica e irriverente. Non necessariamente performare il drag (sia king che queen) è appannaggio di persone omosessuali o transessuali/transgender – infatti esistono anche drag queen vaginomunite e drag king pisellomuniti e né l’orientamento sessuale né l’identità di genere sono discriminanti in tal senso.

Il drag king generalmente tende a estremizzare gli stereotipi del “maschio mainstream”, a volte viene grossolanamente travisato e quello che fa viene scambiato per mero scimmiottamento del maschile (molte lesbiche ci hanno accusato di farlo), ma dietro c’è tutto un discorso di vissuti personali e necessità di liberazione dei propri desideri e del proprio corpo

Personalmente, c’è anche un aspetto che di fatto ha caratterizzato un’evoluzione rispetto all’approccio king degli esordi; se inizialmente io (e credo di parlare anche per Bianco, senno’ me corregge!) salivo sul palco da king nudo e crudo, successivamente, con le esperienze vissute negli anni a seguire, gli scambi con altri contesti soprattutto all’estero (Svizzera, Germania, Svezia per fare degli esempi), ho avuto la possibilità e la fortuna di rielaborare la mia “drag persona“ (e anche la persona senza drag!) in un’ottica più queer, dove i confini tra i (molteplici) generi diventavano sempre più impalpabili e spiazzare chi guardava era l’obiettivo più divertente ed efficace. Un corpo non conforme è sovvertivo, manda in crisi, restituisce emozioni comunque forti, nel bene e nel male.

Poi, c’è l’accezione politica (non sempre necessariamente sottintesa) per cui l’esibirsi in drag ha una rilevanza in termini di rivendicazione e lotta contro l’eteronormatività e il binarismo di genere imposto dalla nostra cultura patriarcale – tirare fuori il proprio maschile e/o il proprio femminile, giocare con questi stereotipi e risignificarli per creare la propria “drag persona”, oltre a generare un godimento che è molto autoerotico e liberatorio, crea l’opportunità di riflettere su quanto ancora siamo pregn* della cultura sessista, omo/transfobica e limitante in cui nasciamo e cresciamo e su quanto sia necessario sovvertire queste norme per raggiungere una reale libertà di autodeterminazione e di espressione.


Quanto è diffuso in Italia Drag King?


Bianco: Dopo le brevi esperienze degli anni ’90 a Milano, scompare per riapparire nei primi anni 2000 stavolta a Roma. Nascono e muoiono realtà locali. L’esperienza degli Eyes Wild Drag è certamente la più lunga e incisiva e ha portato il Kinging per tutta la penisola e in giro per il mondo per quasi 10 anni.


Spruzzy: Ad oggi, se non erro, c’è un collettivo a Milano, più vari singoli sparsi per l’Italia. Dalla metà degli anni 2000 circa, a Roma hanno preso vita alcuni gruppi king tra cui Butterfly Kings, Eyes Wild Drag (evoluto poi in “drag queer”) e Kings of Rome. La spinta iniziale a creare una storia “king”, abbastanza assente fino ad allora, è stata sicuramente stimolata dai workshop drag king tenuti all’epoca qui in Italia da Paul B. Preciado e Diane Torr.


In media quanto tempo ci vuole per la fase trucco e costume?


Bianco: Dipende. È certamente più breve della preparazione Queen. In mezz’ora il trucco può essere fatto. Non è però nel trucco che c’è il King, ma nella consapevolezza corporea di essere maschi.


Spruzzy: La fase trucco/costume è uno dei momenti più intensi del workshop king, è di fatto la trasformazione vera e propria e il tempo necessario dipende anche dalla facilità o meno di realizzare il king che si è pensati per sé. In genere occorrono almeno un paio di ore, soprattutto per la realizzazione di barbe/baffi/basette, in base alla tecnica che possa essere più efficace (ad es: mastice e capelli sminuzzati da incollare o utilizzo del mascara). Tieni presente che mi riferisco ad un contesto “collettivo”, con più persone. Singolarmente, i tempi possono essere più brevi, dipende dalla familiarità che si acquisisce man mano che si sperimenta.


I Drag King lavorano molto sulle posture. Come si svolge questo lavoro nei vostri laboratori?


Bianco: Partiamo dalla decostruzione della nostra auto percezione. Per ‘draggare’ lo sguardo dell’altro bisogna prima cambiare lo sguardo che ognuno ha su di sé attraverso un vero e proprio attraversamento corporeo. Non è attraverso un convincimento mentale che può emergere il maschile, ma attraverso un lavoro di radicamento e ascolto di sé e dell’altro. Per questo è stato fondamentale l’incontro con la Bioenergetica di Alexander Lowen, per questo sono fondamentali le improvvisazioni teatrali. Si parte da uno scimmiottamento ma l’intento è quello di far emergere il nostro vissuto e il nostro peculiare maschio.


Spruzzy: Inizialmente si fanno esercizi di rilassamento e di “neutralizzazione” del corpo, per poi procedere alla costruzione del personaggio forzando molto su ciò che viene concepito notoriamente come stereotipo tipicamente maschile; per fare degli esempi, la rigidità del collo e dei polsi, lo sguardo, l’occupazione dello spazio, la postura del bacino, delle spalle, il tipo di camminata, l’espressione del volto e via dicendo. Le persone agiscono singolarmente e interagiscono tra di loro mettendo in atto queste forzature, così facendo si crea una sinergia esperienziale che coinvolge il corpo e stravolge le sensazioni. Spesso, come accennavo prima, questo fa nascere una sorta di compiacimento di sé che porta a una forma di autoerotismo, specialmente vedendo la propria immagine “nuova” riflessa nello specchio.



Assumere un punto di vista maschile è empowering in una prospettiva femminista?


Bianco:È empowering per tutti. La nostra identità è relazionale e per questo molteplice. Vivere nella gabbia di un ruolo, maschile o femminile che sia, limita la nostra libertà e potenzialità relazionale, e quindi la nostra possibilità di essere felici. Con l’associazione LABirinti APS, di cui faccio parte, usiamo questa pratica per il sostegno alla genitorialità, per l’evoluzione personale e per laboratori sulla violenza di genere. In quest’ultimo caso per esempio attraversare lo stereotipo femminile porta a una rivendicazione del proprio potere erotico e attraversare il maschile a una conquista di uno spazio più grande e radicato nella relazione, che sia con un amante o con un vicino di bancone al bar.


Spruzzy: Assolutamente. È un’esperienza che da un lato ti fa provare un sentire molto diverso in quanto da “femmina” (passami il termine) sei spesso soggetta a sguardi, commenti, aspettative altrui che tendono ad invadere il tuo spazio e la tua determinazione. Il feedback esterno, quando si esce all’aperto in “king”, è molte volte strabiliante: si passa inosservati, si ricevono sguardi diversi o non se ne ricevono affatto, c’è un’invisibilità che lascia spiazzat*, paragonato a quanto si vive nella vita di tutti i giorni. Già solo riflettere su questo aiuta ad avere maggiore consapevolezza della disparità di privilegi, di libertà personale e di espressione. Molte persone (la maggior parte dell8 partecipanti ai workshop sono donne cisgender), dopo aver frequentato un workshop, si accorgono improvvisamente di azioni, gesti, atteggiamenti passati che normalmente non vedevano come “sovradeterminanti” nei loro confronti in determinati contesti (per dire: la maggiore credibilità di un uomo anziché di una donna, nella vita familiare o professionale o in ambiti molto eteronormati). Si creano spunti interessanti di riflessione, sì è più attent8 all’espressione dei ruoli di genere (maschile ma anche femminile) nel quotidiano che prima poteva apparire come qualcosa di assodato, di scontato ma che scontato non è. Si osserva e critica di più e questo crea consapevolezza.


Avete progetti futuri (Covid permettendo?)


Bianco: Proseguono i laboratori di Attraversamento degli stereotipi femminili e maschili: viaggio di 2/3 giorni in cui si indossa consapevolmente la maschera e ci si ri-scopre;

laboratori di sostegno alla genitorialità ‘Indossare lo sguardo – quasi fosse amore’ in cui il gioco è quello di scivolare sull’uno o sull’altro dei due estremi, maschile e femminile, e esercitarsi a scegliere la comodità e la vitalità.


Spruzzy: Covid permettendo, ci piacerebbe rispolverare i baffi e vedere cosa potrebbe uscire fuori dalla classe di Bianco e dalla demenzialità di Spruzzy, intanto a Genova, lo scorso ottobre, abbiamo fatto una prova, così, per cazzeggio e magari cazzeggiando ancora, chissà cosa potrebbe succedere… vedremo! (però Spruzzy vorrebbe pure sonà!)


Grazie e speriamo di vedervi presto dal vivo. Intanto guardiamo i vostri video









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