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  • Immagine del redattoreLe Tre Ghinee

Il femminismo è un'avventura collettiva- King Kong Theory di Virginie Despentes

Aggiornamento: 1 dic 2021


La nuova edizione italiana di King Kong Theory, edita da Fandango Libri, con la nuova traduzione di Maurizia Balmelli, è molto più fedele all'originale della precedente.

Questo saggio del 2006, il primo pubblicato da Virginie Despentes, è uno dei più grandi successi della teoria queer e femminista degli ultimi anni, tradotto in sedici paesi, con oltre duecentomila copie vendute solo in Francia.


  • Editore ‏ : ‎ Fandango Libri (3 ottobre 2019)

  • Lingua ‏ : ‎ Italiano

  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 134 pagine

  • Costo: € 15


Circa 14 anni fa anni fa un’amicfrancese mi regalò “King Kong Theory”, un piccolo ma potentissimo libro, che non mi stanco mai di rileggere, divenuto per me una sorta di manuale di sopravvivenza al sessismo quotidiano e una chiave di lettura per i nefasti episodi di violenza e misoginia ai quali quotidianamente ci ha abituato la cronaca nazionale.

L’autrice è nota in Italia soprattutto per il romanzo Baise moi (Scopami) e l’omonimo film di cui è anche co-regista, la cui fama si deve più allo scandalo che provocò all’epoca e alle conseguenti censure che alle sue origini fondanti.

Il romanzo era una riflessione cruda e impietosa sullo stupro, sulla condizione femminile e sulle difficoltà di una reale emancipazione dai ruoli convenzionali che donne e uomini sperimentano sulla propria pelle.


Analisi ripresa, in maniera più matura dal Despentes in King Kong Theory che, abbandonata la struttura del romanzo, è un vero e proprio manifesto politico a metà tra autobiografia e saggio:

“Scrivo dalla parte delle racchie, per le racchie, le vecchie, le camioniste, le frigide, le mal scopate, le inscopabili, le isteriche, le tarate, tutte le escluse dal gran mercato della bella donna».

Il racconto di come sia diventata Virginie Despentes, “uno spirito libero, una sorta di anarco-femminista”, ragazza punk violentata, prostituta occasionale, regista porno e scrittrice, è una sorta di parabola in cui l’autrice abbatte ogni convenzione moralistica sullo stupro, la prostituzione e la pornografia da una parte e sul “contratto matrimoniale”, la maternità e il binarismo di genere dall’altra.


Partendo da una rivoluzione femminista degli anni ’70 che non si è mai pienamente compiuta, in quanto “non ha dato luogo a nessuna riorganizzazione circa la custodia dei figli”..” dello spazio domestico”. né “ha occupato lo spazio pubblico”, Despentes analizza la figura della “donna bianca ideale” ..”che ci viene costantemente brandita sotto il naso, quella a cui ci si dovrebbe sforzare di assomigliare” : “seducente ma non puttana, bene accasata ma non cancellata, che lavora ma senza riuscire troppo per non schiacciare il suo uomo, magra ma non maniaca della dieta, che rimane giovane ma senza farsi sfigurare dai chirurghi estetici, madre realizzata ma non totalmente assorbita da pannolini e compiti per la scuola, buona padrona di casa ma non casalinga tradizionale, colta ma meno di un uomo”.


Raccontando la sua esperienza dello stupro subito da ragazzina mentre faceva l’autostop, Despentes analizza chirurgicamente un meccanismo che tutte noi conosciamo bene: la società colpevolizza la donna che ha subito quella “infamia” e la rinchiude nel suo status di vittima, possibilmente silente e asessuata, perché “una donna che avrebbe tenuto alla sua dignità avrebbe preferito farsi ammazzare” , così come ci insegnano le varie figure di sante martiri propinateci dall’industria culturale di matrice cattolica sin da bambine.


Una volta segnate dal marchio dell’infamia, non c’è altra scelta per le donne che la paura e l’autonegazione: “bisogna rimanere traumatizzate da uno stupro, c’è una serie di segnali visibili che bisogna rispettare: paura

degli uomini, della notte, dell’autonomia, disgusto per il sesso e altre amenità".

“Poststupro, il solo comportamento tollerato consiste nel rivolgere la violenza contro se stesse. Aumentare di venti chili, per esempio. Uscire dal mercato del sesso, dato che si è state sciupate, sottrarsi al desiderio”... “Puttane o imbruttite, che escano spontaneamente dal mercato delle sposate”.

“C’è una predisposizione femminile al masochismo” “dispositivo culturale pregnante e preciso che predestina le donne a godere della loro stessa impotenza, cioè della superiorità dell’altro”.

E politica è anche l’impresa ancestrale, implacabile che insegna alle donne a non difendersi” perché “lo stupro è un programma politico preciso: scheletro del capitalismo, è la rappresentazione cruda e diretta dell’esercizio del potere” .


La donna deve soprattutto sottrasi alla pericolosità del desiderio maschile al di fuori del sacro vincolo matrimoniale: “La mistica maschile deve essere costruita come qualcosa di pericoloso per natura, criminale, incontrollabile: il desiderio dell’uomo è più forte di lui, non può dominarlo” .

I titoli di cronaca ci hanno ben abituato alla drammatizzazione dell’incontrollabilità del desiderio maschile, quasi fosse un alibi, nei sempre più frequenti casi di aggressioni e femminicidi che l’uomo compie nei riguardi della donna che rivendica la sua autodeterminazione e si sottrae al suo controllo: “impazzisce per amore”, “dramma della gelosia” e così via.

E ovviamente “la legge degli sbirri è quella degli uomini”, come ben raccontato da Franca Rame nel suo “monologo sullo stupro” :

“Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido… Torno a casa… torno a casa… Li denuncerò domani“.

Lo status di vittima impaurita non si addice alla ragazza punk Virginie che riprende a fare l’autostop ed entra così di diritto nell’universo delle zoccole perché “visto che dopo non ti sei data una calmata, vuol dire che dev’esserti piaciuto”.

In realtà non sa come affrontare il trauma che la ossessiona (e continuerà ad ossessionarla per gli anni a venire) fino a quando scopre Camille Paglia, “la più controversa delle femministe americane” che “ proponeva di pensare lo stupro come un rischio da prendere, inerente la nostra condizione di donne. Una libertà inaudita, di sdrammatizzazione”..”Paglia ci permetteva di immaginarci come delle guerriere, non più responsabili personalmente di quello che avevano cercato ma vittime ordinarie di quello che bisogna aspettarsi di sopportare se si è donne e ci si vuole avventurare all’esterno”….” cambiava tutto: non si trattava più di negare, né di soccombere, si trattava di conviverci”.


Despentes è folgorata da questa visione che ribalta lo stupro da vergogna da tacere a coscienza politica, un trauma “fondatore. Di ciò che sono in quanto scrittrice”..." E’ nello stesso tempo ciò che mi sfigura e che mi costituisce”.

Il passaggio da vittima a guerriera avviene anche attraverso la sua esperienza di prostituta occasionale: “la prostituzione è stata una tappa cruciale, nel mio caso, di ricostruzione dopo lo stupro”..”Di nuovo mi trovavo in una condizione di ultrafemminilità, ma questa volta ne ricavavo un chiaro beneficio”. Di nuovo, nel suo racconto, emergono considerazioni illuminanti su un tema che oggi è più attuale che mai: Perché le sex workers fanno tanto paura alle donne? Despentes ne dà un interpretazione politica: “ Le prostitute costituiscono l’unico proletariato la cui condizione turba tanto la borghesia. Al punto che spesso la maggior parte delle donne a cui non è mancato niente danno per scontato che la prostituzione non vada legalizzata”. La prostituzione va infatti praticata in ambienti degradanti e in condizioni di estremo pericolo perché “se la prostituta esercitasse il suo commercio in condizioni decenti” e con le tutele legali di ogni altra professione “la posizione della donna sposata diventerebbe di colpo meno attraente”.

E’ importante che la prostituta e la “pornostrega” restino per le donne borghesi vittime alla mercè del brutale desiderio maschile e non assurgano mai al ruolo di imprenditrici di se stesse. Al massimo quelle vittime vanno soccorse, desessualizzate e e riportate in seno alla società civile, magari con un ruoli subalterni ma “dignitosi”. Come serve, insomma.


Le donne che sentiamo predicare contro la mercificazione della donna, ” quelle che sentono il femminismo come una causa secondaria, di lusso”... “sono le alleate degli uomini, quelle di noi che sanno meglio piegare la schiena e sorridere sotto la dominazione”

Purtroppo le donne sono le peggiori carceriere del proprio genere: Attraverso la moda, la religione, i giornali femminili, la pubblicità si perpetra “la sindrome dell’ostaggio che si identifica col suo carceriere” ..“”L’Arte del servilismo. Si può chiamarla seduzione e farne una cosa glamour”.

Eccoproliferare articoli del tipo look casalingo: come evitare di sembrare super trasandate” o Moda a sessant'anni: errori che invecchiano, c'è l'imbarazzo della scelta. Non basta neanche evitare di leggere le sempiterne e idiote riviste femminile o evitare come la peste la Tv generalista e le commedie romantiche Hollywoodiane (per non parlare di quella piaga di Sex & The City), non siamo mai del tutto a riparo dalla retorica della "donna vincente".


Se da un lato le donne “vincenti” sono al tempo stesso vittime e carnefici di se stesse, perpetrando la dittatura della bellezza e la sottomissione al patriarcato, “che cosa comporta di preciso essere un uomo vero?”:” Dar prova di aggressività” …” riuscire socialmente per pagarsi le donne migliori”.. “Vergognarsi della propria delicatezza (…) indossare abiti di colori spenti, portare sempre le stesse scarpe goffe, non giocare con i propri capelli, non portare troppi anelli, braccialetti eccetera, non truccarsi. Dover fare il primo passo, sempre. (…) Temere la propria omosessualità perché un uomo non deve essere penetrato.”


La scrittrice, spesso accusata di misandria, manifesta così la sua solidarietà verso gli uomini non allineati e auspica un cambiamento collettivo e totale che superi la guerra tra i sessi:

” Il femminismo è un’avventura collettiva, per le donne, per gli uomini, e per gli altri. Una rivoluzione, bene in marcia. Non si tratta di opporre i piccoli vantaggi delle donne alle piccole acquisizioni degli uomini, ma piuttosto di mandare tutto all’aria. E con questo, ciao, ragazze, e miglior cammino….” V.D.

Venusia Vega

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