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Immagine del redattoreLe Tre Ghinee

Mini Sista ti credo. Ci sono.

Riflessioni sulla necessità di un supporto per le nuove generazioni

Domenica, giornata di recupero, d'ordine e buoni propositi fatti di tisane depurative.

Ma domani in classe riguardo le attività e ricordo che ho ancora dei bigliettini da leggere, dentro la scatola di scarpe che uso per i segreti, la tana dei dolori bambini e adolescenti: “un mio amico mi ha detto che devo morire”, “ho smesso di mangiare perché mi dicevano tutti che ero grassa” ma anche il posto delle provocazioni e degli scherzi e regali: biglietti enormi fatti piccolissimi che poi aperti rivelano un: “non sono affari tuoi”, scarabocchi, caramelle.

Ho tre grandi buste di bigliettini nell'armadio, penso ogni volta che dovrei farci qualcosa invece rimangono lì. Da adolescente entrai nella casa di un uomo che aveva attaccato al soffitto non so quante buste piene di roba. Dovrei davvero farci qualcosa, l'immagine di me da vecchia piena di buste di biglietti di ragazzine tristi mi dà da pensare. Comunque, aveva anche un modo raffinato di prendere le buste, una specie di carrucola. Divertente, alla fine.


Fatto sta che questi bigliettini stanno lì e quindi a volte li rileggo, faccio sempre dei sospiri e poi li richiudo cercando di farlo come facevano loro, di seguire le loro pieghe. Credo che in questi anni d'insegnamento non abbia fatto altro che cercare di seguire le loro pieghe. Mi sembra una buona metafora e no, non ci sono sempre riuscita. Mi chiedo pure se sia utile cercare di seguirli sprofondando insieme a loro; sono in grado di mantenere la vista accesa anche nel buio dove mi portano? Non so, ma so che non voglio lasciarli lì sole.

Un collega anni fa mi disse che le ragazze e i bambini ti lanciano bombe senza preavviso, bombe che sconquasserebbero le persone più dure, magari in mezzo ad un gioco che pensavamo divertente, col panino in bocca, o la sigaretta in canna, prima di nascondersi lontano da loro a fumare in pace. Ti lanciano i dolori, così. L'unica cosa possibile da fare, è prendere quella bomba fra le mani. Per disinnescarla? Magari. Per ora per tenerla fra le mani: me l'hai data, la prendo, ci sono.


Qualche giorno fa lei non ha scritto un bigliettino, lei si è messa con la sua bomba al centro della stanza, al centro del cerchio che fa paura a tutti, e ha pianto sulla mia giacca.

Non voleva l'acqua che le ha proposto l'insegnante, non voleva nemmeno stare con me in bagno o in giardino, voleva parlare, dritta e fieramente singhiozzante al centro. Ha parlato della sua famiglia, di sua madre, dei continui insulti, ha pianto la sua comprensione, la protezione verso la sorella minore. Ha urlato dicendo: non ce la faccio più. Ha deciso di interrompere il silenzio.


Insegno teatro fisico. Per me, ogni cosa inizia e ritorna ai corpi, perciò, anche qualche giorno fa, dopo aver sgranato gli occhi dalla sorpresa, li ho tenuti così, iper-aperti, vista accesa perché stiamo sprofondando tesoro, e conosco il buio che fa laggiù ma non sei sola.

Poi siamo risalite entrambe in un cerchio che era innevato di silenzio, abbiamo rivisto i compagni anche loro con gli occhi umidi, ci siamo salutate e via. La professoressa ha detto qualcosa, io ho detto delle cose, la responsabile del progetto e il capo della cooperativa e il preside hanno detto tantissime cose. Ore di cose dette tra cui: bisogna stare attenti perché poi gli assistenti sociali ci mettono un attimo/ non dico che non sia vero ma bisogna capire/ certe volte, sai, i ragazzi sono esagerati/ una famiglia problematica/ abbiamo le mani legate/ non siamo nessuno/ non dare pareri descrivi la scena/ e infine: ti sento provata.


Sono provata dalla mancanza di strategie a lungo termine per gestire questi casi. Dall'ennesima conferma che la voce delle bambine e dei ragazzi non ha nessuna risonanza, non attiva nulla, se non scetticismo e al massimo compassione (breve). Sono molto provata dal fatto che l'assistenza sociale gode (a ragione!) della stessa fama di Meloni negli ambienti di sinistra. Che manchino percorsi gratuiti, accessibili a tutte di sostegno alla genitorialità, ché siamo rimaste sole a fare i genitori e siamo ancora troppe madri con sempre più pressioni sociali, meno soldi e meno tempo.

Sono provata dal fatto che non si riesca ad aprire all'interno di ogni scuola, a fianco della didattica tradizionale, un percorso che coinvolga studenti, genitori, insegnanti, operatori sociali, non qualche mese l'anno, ogni chissà quanti anni. Un luogo sicuro. Sarebbe uno spazio di ascolto, di crescita collettiva, intergenerazionale. Potrebbe persino accadere che almeno ad un lancio di dolore ci sia una collettività che possa rispondere: ci sono.

Mi piacerebbe ritrovarmi in un gruppo di persone dalle mani slegate, in azione. Per disinnescare le bombe? Magari…


Veronica Pinto

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