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Afghanistan: come supportare le compagne evitando il whitewashing?

Aggiornamento: 1 dic 2021

«Le donne Afghane sono leoni addormentati; quando si svegliano possono giocare un ruolo meraviglioso in qualsiasi rivoluzione sociale»

Meena Keshwar Kamal fondatrice del movimento femministaAssociazione rivoluzionaria delle donne dell'Afghanistan (RAWA),assassinata da sicari nel 1987.



Photograph: Ayesha Ahmed

L’avanzata inesorabile dei talebani e la caduta di Kabul nelle loro mani ha il sapore di un’interrogazione a sorpresa su parti vecchie del programma scolastico.

A tre settimane di distanza, la cosa sembra chiara e semplice, in tutta la sua drammaticità: in Afghanistan è in atto un colpo di stato, una sospensione dello stato di diritto mantenuto dall’imperfetto governo Ghani.Un governo di scarsa legittimità a causa della sua vicinanza alle forze occidentali che hanno invaso il paese venti anni fa, per poi ritirarsi senza che la missione fosse chiara, prima ancora che compiuta. La situazione della popolazione, soprattutto la parte più debole e marginalizzata, già messa duramente alla prova da uno dei conflitti più lunghi della contemporaneità, è molto probabilmente destinata a peggiorare, e tanto.

Nonostante i proclami dei talebani di essere diversi e voler mantenere i diritti, sono stati registrati episodi di violenza e di discriminazione, mentre si svolgono una serie di manifestazioni e si organizzano resistenze contro il loro governo.


Come era da aspettarsi, le nostre bolle mediatiche sono invase da un'ondata di discorsi, invettive e simboli, che travolge e disorienta. Soprattutto dopo che la guerra in Afghanistan era completamente - quasi colpevolmente - uscita dai nostri radar, come se le cose stessero andando benino, fino al ritiro delle truppe della coalizione occupante.

L’inondazione di testimonianze, racconti, video, analisi nei media mainstream non aiuta molto a capire. Sarebbe meglio diffidare del sensazionalismo, e affidarsi alla giusta rabbia di chi non teme le contraddizioni, ascoltando chi non solo ha esperienza, ma neanche nasconde il proprio posizionamento e coinvolgimento.

Quasi sicuramente complice il silenzio e il disinteresse degli ultimi anni, adesso che i riflettori tornano su quella terra bellissima quanto martoriata, ci si accorge quanto le voci afgane erano rimaste inascoltate, relegate ai margini.

Ascoltiamole e ascoltiamo le reti femministe islamiche. I talebani certamente non sono cambiati, ma ora sanno che non possono continuare a uccidere e umiliare perché, comunque, le donne non taceranno. Quello che possiamo fare noi, femministe di un occidente confuso e impaurito, è soprattutto riflettere sulle esperienze e sulle nuove consapevolezze dei nostri limiti per trasformare la solidarietà in forme nuove di relazione, in nuovi linguaggi sul mondo.

Rawa, l’organizzazione di donne afgane rivoluzionarie, manifesta a gran voce la propria preoccupazione, ed è in prima linea a sottolineare quanto le promesse di moderazione del regime salafita siano poco credibili. Se a Kabul, dove sono puntati gli occhi internazionali, le cose sembrano tollerabili, nelle province le vite delle donne cominciano già a subire dure restrizioni. Nonostante RAWA, organizzazione femminista marxista e secolare, sia per niente favorevole ad alcuna forma di governance musulmana, la loro analisi è disincantata. Sottolineano quanto in realtà dal 2001 siano stati fatti pochissimi progressi negli anni di presenza militare della NATO.


Scrive Laura Quagliolo, una delle fondatrici del CISDA (COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE Onlus)

Le donne che hanno avuto accesso al lavoro e all'istruzione sono una minoranza di facciata. Oggi l'87% delle donne è ancora analfabeta e vittima di violenza, matrimoni forzati e precoci e hanno scarsissimo accesso a una sanità di qualità. Aver fatto governare il paese a fondamentalisti corrotti, aver lasciato che il mercato dell'eroina proliferasse e andarsene in fretta, regalando l'Afghanistan ai talebani non ci consentirà di avere voce in capitolo sui diritti delle donne.

Alla Conferenza di Bonn del 2011 , le prospettive per il futuro aperte dalle rappresentanti delle donne afgane erano differenti, che spaziano da visioni secolari ad altre che facevano riferimento al femminismo islamico.

Ad esempio Selay Ghaffar, attivista afganae per i diritti delle donne, è stata sempre molto critica nei confronti del governo e di tutti i signori della guerra. Ha sempre individuato nell'occupazione straniera la causa principale dei problemi, la violazione dei diritti del popolo afghano. È ben nota come attivista proattiva, il che l'ha portata ad avere un ruolo attivo nella maggior parte delle conferenze nazionali e internazionali ed eventi sull'Afghanistan come Bonn II, la Conferenza di Londra e altri, dove ha tenuto discorsi molto critici sulla situazione in Afghanistan (Qui il video del suo intervento alla conferenza di Bonn).


Certo, nell'Afghanistan post talebano erano nati numerosi progetti, ma il conflitto portato avanti dalle stesse nazioni che sostengono i progetti per le donne e i bambini non hanno fatto altro che danneggiarli, mentre l’instabilità ha reso sempre più difficile portare avanti i progetti di cooperazione.


Investimenti in operazioni militari in Afganistan 2002 -2020:

In un' intervista rilasciata alla testata giornalistica australiana “Geen Left”, Shayaan, membro del Partito di Solidarietà dell'Afghanistan, dice:

"Il popolo afghano non aveva richiesto l’intervento delle truppe USA e delle altre forze d’occupazione. Hanno attaccato il nostro Paese per rovesciare i signori della guerra che avevano creato durante la Guerra Fredda. Questa non era la nostra guerra: il nostro Paese era usato come campo da battaglia. Gli Stati Uniti volevano usare l'Afghanistan comebase per contrastare Russia, Cina e Iran. Il Partito Afghano della Solidarietà ha sempre espresso la sua contrarietà alla presenza di truppe straniere perché di fatto hanno sostenuto e fatto aumentare il fondamentalismo e il terrorismo. Il governo degli Stati Uniti ha creato il virus del fondamentalismo durante la guerra fredda in Afghanistan ha trasformato il nostro Paesein un centro per il terrorismo. Le vittime sono i nostri civili innocenti".

La narrazione salvifica tornata prepotentemente alla ribalta da molte parti, la quale, seppur ben fondata nei timori che pone, occulta le responsabilità delle potenze occidentali, di 20 anni di conflitto che ha prodotto un numero impressionante di morti civili.


Oltre al fatto che la guerra degli Stati Uniti contro la loro penultima minaccia esistenziale preferita - il comunismo - ha direttamente posto le basi in Afghanistan per l'ascesa della "minaccia terroristica", ci sono molte altre indicazioni che gli Stati Uniti non sono mai stati effettivamente nel business di migliorare la sorte delle donne nel paese.

L’antropologa Lila Abu Lughod, tra le pioniere a occuparsi di studi di genere e sessualità nel Medio Oriente, spiegava nel 2012 perché le donne occidentali non possono salvare le donne afgane:

Mi interrogo sul fascino che esercita questa nozione di "salvare" le donne afgane, una nozione che giustifica l'intervento americano e che smorza le critiche all'intervento delle femministe americane ed europee. È facile vedere attraverso il "femminismo" ipocrita di un'amministrazione repubblicana. Più preoccupante per me sono gli atteggiamenti di coloro che si preoccupano veramente della condizione femminile. Il problema, naturalmente, con le idee di "salvare" le altre donne è che dipendono e rafforzano un senso di superiorità degli occidentali.

Come Rafia Zakaria - autrice, recentemente, di Against White Feminism - commenta in un articolo per The Nation , le femministe bianche negli Stati Uniti hanno deciso fin dall'inizio che "la guerra e l'occupazione erano essenziali per liberare le donne afghane", non importa cosa pensassero quelle donne stesse.


Che qualcuno si sia mai permesso di essere ingannato nel credere che il femminismo possa essere imposto da una potenza occupante sotto la minaccia delle armi è estremamente vergognoso. Le donne, ricorderete, sono parte della società e un recente sondaggio ha mostrato che l'Afghanistan è la nazione più triste della Terra. Il tasso di povertà del paese è più che raddoppiato nel corso dell'occupazione statunitense, raggiungendo il 75% nelle zone di conflitto più colpite. I tassi di mortalità infantile sono saliti costantemente e milioni di persone sono state sfollate internamente. Le donne già affrontano più povertà degli uomini, e la guerra tende ad acuire le disuguaglianze di genere esistente. Le donne spesso affrontano l'aggressione nello sconvolgimento sociale del conflitto armato, e lottano per prendersi cura dei membri della famiglia quando i bisogni di base scarseggiano. A partire dal 2018, con la guerra che va avanti quasi abbastanza a lungo per raggiungere l'età adulta legale, l'Afghanistan rimane il posto peggiore sulla Terra per le donne.
......
In parole povere, non esiste un imperialismo femminista. Non esiste una guerra che sia cattiva per gli uomini, ma buona per le donne. L'insistenza sul fatto che gli invasori che hanno passato 20 anni a decimare i villaggi i cui pezzi rotti le donne afgane ora devono ricucire insieme erano in realtà femministe che erano dalla loro parte è incredibilmente insensibile: Non solo si sorvola sui molti uomini che sono stati vittime della guerra, ma si presume anche che le donne non lo siano state.

In conclusione, non solo bisogna stare attente al rischio di relativismo culturale, di giustificare “scelte e soluzioni perché è nella loro cultura”, ma anche a non cadere nell’eccesso opposto, di sovradeterminazione. Le retoriche di salvataggio si basano sulla creazione, nei diversi ambiti culturali, accademici e di attivismo occidentali, una categoria di donna musulmana definita in maniera rigida ed eccessivamente semplicistica, che assegna alla componente religiosa un peso eccessivo e asimmetrico rispetto a quanto avviene per altri contesti geografici e culturali, e non tiene conto delle complessità e interconnessioni del contesto afgano sotto gli aspetti storici e culturali.

Inoltre, si devono fare sforzi per smantellare i discorsi razzisti delle destre, che stanno sfruttando le narrazioni di salvataggio della donna musulmana per portare avanti la loro agenda xenofoba. Dal punto di vista femminista, si deve agire per evitare di aggiungere a forme di oppressione di genere quelle derivanti dal razzismo, il problema è esattamente analogo a quello sollevato da Bell Hooks sulla condizione della donna afro-americana.


Cosa fare di concreto?

Possiamo supportare chi da anni si batte per difendere i diritti delle persone nel paese asiatico:

Anche cani e gatti vanno messi al sicuro: per farlo possiamo sostenere Nowzad.



𝐂𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐭𝐚 𝐠𝐥𝐨𝐛𝐚𝐥𝐞 𝐚𝐥𝐥'𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐚𝐟𝐠𝐡𝐚𝐧𝐞

L'associazione femminista afghana Revolutionary Association of the Women of Afghanistan - RAWA chiama per 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑜𝑙𝑒𝑑𝑖̀ 1° 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒𝑚𝑏𝑟𝑒 una 𝑚𝑜𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑜𝑛𝑙𝑖𝑛𝑒.

𝐶𝑜𝑙𝑙𝑒𝑔𝑎𝑡𝑒𝑣𝑖 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑙𝑒 14 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎 𝑝𝑎𝑔𝑖𝑛𝑎 Cisda per condividere i post della mobilitazione che pubblicheremo.


Alessandro Buontempo & Venusia Vega


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