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Immagine del redattoreLe Tre Ghinee

Ritorno al focolare domestico

Aggiornamento: 17 mar 2021

Ai tempi del Covid-19 le disparità di genere, già presenti nel tessuto sociale ed economico, rischiano di spingersi verso un punto di non ritorno.

Perché? #motoodico

È di un paio di giorni fa la pubblicazione della ricerca Ipsos, portata avanti da Tiziana Ferrario e Paola Profeta per Laboratorio Futuro, che titola Covid: un Paese in bilico tra rischi e opportunità – Donne in prima linea [1] e che pone all’attenzione la questione della disuguaglianza di genere all’interno della pandemia globale. Questa indagine parte da presupposti già sedimentati e tristemente noti all’interno del tessuto sociale ed economico italiano, ovvero la palese asimmetria di opportunità e riconoscimenti nel mondo del lavoro in base al genere. Tendenza che viene palesata e forse addirittura acuita dall’emergenza sanitaria in corso.


Ma facciamo un passo indietro.

Non è un mistero infatti che in Italia, e siamo tra gli ultimi in tutta Europa, il tasso di occupazione femminile sia almeno da un decennio stabilmente inferiore rispetto a quello maschile (si parla del 49.5%, contro un tasso maschile del 67.6% su un campione di popolazione che va dai 15 ai 64 anni). Le poche donne occupate, inoltre, non sono attive nei settori meglio remunerati sul mercato del lavoro e tendenzialmente ricoprono ruoli non dirigenziali (meno del 30% al 2018). La causa di tutto questo non sembra essere attribuibile ai livelli di istruzione, infatti in Italia, su 100 giovani ragazzi che si laureano, 60 sono donne.

Allora a cosa è dovuto questo gap occupazionale?

Perché non si è visto il rapporto della donna con la produzione mediante la sua attività di ricostruzione delle forze-lavoro nella famiglia? Perché non si è visto nel suo sfruttamento all’interno della famiglia una funzione essenziale al sistema dell’accumulo di capitale?" domanda Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel [2], parlando della rivolta della classe operaia nell’ottica marxista, in cui la donna non trova il suo spazio, anzi viene nuovamente relegata alla cura domestica e dei figli, all’interno del sistema patriarcale.

A distanza di cinquant’anni la situazione è rimasta pressoché invariata. La gestione del lavoro domestico non retribuito ricade principalmente sulle donne e il 74,4% di esse non sperimenta alcuna condivisione con il partner, mentre la gestione economica e burocratica è prevalentemente svolta dall’uomo. Stessa cosa per la cura dei figli che vede impegnate le mamme il 60% in più rispetto al partner.


La pandemia in corso, come accennato sopra, sta portando alla luce tutte le falle di un sistema che già si nutriva di discriminazioni, e sta acuendo in maniera esponenziale le differenze, siano esse di classe, di etnia, di status giuridico, di genere. In una situazione in cui le scuole sono chiuse, sono venute meno le figure di collaboratori domestici e baby sitter, e molte lavoratrici si trovano a barcamenarsi tra incombenze domestiche e smart working, il peso del focolare è tornato a gravare inevitabilmente su chi, per “tendenza naturale”, come narrazione stereotipata vuole, è più dedito alla cura e al sacrificio.

Non è tutto. Si stima che dal 4 maggio in poi, con l’inizio della Fase 2 e la parziale riapertura di alcuni settori produttivi, a tornare a lavoro saranno al 72% gli uomini. Questo è dovuto al fatto che molte delle aziende che riapriranno sono occupate per la maggior parte da uomini, e in parte perché per molte coppie sarà difficile conciliare lavoro con gestione dei figli. Fin ora, con il Decreto economico Cura Italia sono state concepite solo due misure di sostegno per i nuclei familiari: il bonus baby sitter e l’estensione del congedo parentale. Misure che sono evidentemente insufficienti per far fronte a un problema così radicato e sistematico. Alcuni hanno proposto una “aspettativa covid” per non trasformare le lavoratrici in casalinghe.


Un gruppo di ricercatrici, con l’appello Verso una democrazia della cura [3], ha lanciato la proposta di sostenere il lavoro di baby sitter, colf e badanti, che sono così centrali in questo momento per le famiglie, e per le quali non è stato previsto alcun ammortizzatore sociale nel Cura Italia. Sono tutte proposte che al momento non trovano un interlocutore nelle istituzioni, le stesse che hanno creato un comitato tecnico-scientifico composto da soli uomini, e che sembrano pressoché sorde di fronte alle istanze presentate da una larga fetta della popolazione.


La ricerca Ipsos mette in luce come non si possa pensare a una ripresa effettiva post Covid-19 senza il raggiungimento della parità di genere. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, l’aumento dell’occupazione femminile, fino a raggiungere il livello di quella maschile, comporterebbe nel nostro Paese un aumento del PIL dell’11% (Kinoshita and Kochhar, 2016). Ma non si tratta solo di fattori puramente economici. La parità di genere è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che lega con un doppio filo il raggiungimento del Goal 5 con la costruzione di una società più inclusiva e stabile a livello sociale ed economico.


Serve ora una presa di coscienza, serve lo smantellamento della narrazione stereotipata che delega ancora esclusivamente alla donna il ruolo di cura e di dedizione alla famiglia e ai figli, e vede nel lavoro una minaccia all’integrità del focolare domestico. Che non considera la gestione domestica come un lavoro da salariare e che esclude in grossa percentuale la condivisione delle incombenze tra i partner. Che grida al crollo demografico, ritenendo come uniche responsabili le donne troppo egoiste per procreare, ma che allo stesso tempo non tutela le madri e rende il loro accesso al mondo del lavoro duro e tortuoso. Serve “una posizione del differente che vuole operare un mutamento globale della civiltà che l’ha recluso” [4].

A beneficiarne sarebbe non solo l’intero sistema economico e sociale ma sarebbero anche gli uomini, e in molti già lo fanno, sottraendosi alla dinamica patriarcale dell’oppressione e riconoscendo il proprio privilegio. Ma questo è al pari di tutte le lotte femministe che a fatica si continuano a portare avanti con tenacia e che non escludono nessuno.

Buon Primo Maggio a tutte.


NOTE

[2] Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel - La donna clitoridea e la donna vaginale; Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, pag.29

[4] Carla lonzi, op.cit., pag.27


Anita Leonetti




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