Perchè il pianto viene visto come un segno di debolezza? #motoodico
Teresa Bellanova, ministra delle politiche agricole, durante la conferenza stampa sulla presentazione del nuovo Decreto Rilancio, si è commossa parlando della norma sulla regolarizzazione dei migranti in questo periodo di emergenza. Una commozione di soddisfazione dopo quelle che sono state, per sua stessa ammissione, giornate lunghe ed emotivamente difficili.
Non vogliamo entrare nel merito della norma in sé, che rappresenta solo un minimo, e purtroppo ancora insufficiente, passo in avanti nella emersione del lavoro nero e nella tutela dei diritti dei più vulnerabili.
È interessante però fare una riflessione sui titoli di giornale, i commenti e i meme che circolano da oggi in rete, nei quali si paragona il pianto della ministra a quello dell’allora ministra del Welfare, Elsa Fornero, o a quella di Hillary Clinton durante le primarie del 2008.
Quando si parla di donne non si entra mai nel merito dei discorsi politici. La notizia che fa scalpore è che ci sono delle donne, che ricoprono posizioni di potere e che piangono “lacrime di coccodrillo”, che sono emotivamente instabili, che meritano di essere paragonate non per i contenuti ma per il pianto. Private delle loro soggettività, diventano sovrapponibili e intercambiabili, perché accomunate dalla stessa colpa: non essere abbastanza simili a un uomo.
Le donne che raggiungono una posizione di potere, devono farlo imitando l’archetipo dell’uomo di potere, sia nell’aspetto, che deve essere austero e nascondere ogni tratto di sensualità, pena la perdita di qualsiasi autorità che nell’atteggiamento: la donna al potere deve essere virile, avere le palle, mentre l’uomo che si commuove “è una femminuccia” (si noti che l’attributo maschile è sempre migliorativo mentre quello femminile sempre peggiorativo). Se questa immagine di donna virile viene scalfita da una lacrima una versata da una donna, allora questa viene immediatamente depotenziata, accusata di essere troppo debole per il suo ruolo o di essere manipolativa.
La riflessione andrebbe quindi fatta sul significato del pianto, su quanto viene considerato sminuente e risibile in una società che si basa sul machismo, soprattutto quando si ricoprono posizioni di potere o cariche pubbliche. I modelli di riferimento sono sempre maschili, con standard di performatività e virilità così rigidi da imbrigliare gli stessi uomini, che nel 2020 si devono ancora sentir dire che “i veri uomini non piangono” e vengono educati a sopprimere le lacrime fin dall'infanzia.
Vorremmo leggere articoli che entrano nel merito delle norme, dei discorsi delle nostre rappresentanti politiche e non essere costrette a parlare del pianto, sia esso di gioia, di difficoltà, di imbarazzo, in modo svilente. Vorremmo passare più tempo a discutere delle questioni politiche, criticarle anche, e non leggere dell’abbigliamento di una ministra o del suo taglio di capelli.
Il fatto è purtroppo sempre lo stesso. Il raggiungimento delle cariche pubbliche o l’accesso a posizioni di potere da parte delle donne non è automaticamente sinonimo di parità di genere. Non lo sarà finché la rappresentazione delle donne verrà assoggettata ai soliti criteri patriarcali e sarà più importante giudicarle per tutto meno che per le loro capacità.
Comments