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Immagine del redattoreLe Tre Ghinee

Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revenge porn)

Aggiornamento: 18 mar 2021


Il reato comunemente chiamato revenge, porn, ossia la diffusione di materiali video-fotografici di natura intima e sessuale, contro la volontà di uno o tutti i soggetti presenti negli stessi, è uno dei reati che più facilmente si commette per via telematica.

Entrato in vigore solo nel 2019, come art. 612 ter c.p., il reato è però subito risultato di lampante importanza e rientra nell’ambito del c.d. “codice rosso”, cioè quel novero di illeciti particolarmente gravi contro la persona e che devono essere soggetto di maggiore attenzione da parte dell’autorità giudiziaria.

In cosa consiste il reato?

Fondamentalmente, quando ciò non costituisca più grave reato, chiunque possegga (per averli ricevuti o realizzati) o sottragga immagini o video di natura esplicitamente sessuale, destinati a rimanere nell’ambito privato (non anche quindi materiale dell’industria pornografica), li diffonda, ceda o pubblichi senza il consenso dei soggetti in essi rappresentati commette il reato in oggetto.

è importante sottolineare che, anche chi riceva e prosegua nella diffusione delle immagini commette lo stesso reato.

La pena è da uno a sei anni (oltre ad un’ammenda tra i 5000 e i 15.000 euro) aumentata se chi li diffonde era o è in una relazione privata con la vittima (coniuge, ex partner), e anche quando sia stato commesso il reato attraverso strumenti informatici e telematici, ed ulteriormente aumentata da un terzo alla metà se il tratti di soggetti in inferiorità psichica o fisica, o di donne in stato di gravidanza.

Il termine per la querela da parte della persona offesa è di sei mesi dal momento della scoperta della diffusione, salvo i casi di persone inferme o incapaci, per i quali vi è la procedibilità d’ufficio.

Questo è uno di quei reati per cui il patrocinio a spese dello stato (c.d. gratuito patrocinio) è sempre ammesso indipendentemente dal reddito della persona offesa

Quindi, sebbene il nome assegnato dalla stampa faccia pensare che si tratti di un reato che debba essere commesso solo da un partner in cerca di “vendetta”, in realtà può essere ben commesso da chiunque entri in possesso del materiale e lo diffonda, indipendentemente dal motivo che lo spinga a farlo. Emblematico il caso della maestra, vittima di questo infame reato, che è addirittura stata costretta dimettersi dal suo posto di lavoro a causa di mamme e della preside entrate in possesso di video intimi di questa giovane, e che hanno ben provveduto a continuare la diffusione.

Oltre a punire quindi l'intenzione di diffondere il materiale intimo di qualcuno senza il suo consenso in modo diretto, acquisito magari durante il sexting o durante un rapporto, e inviato a terzi infrangendo un rapporto di fiducia, si vuole punire anche il cyber-bullismo che ne consegue, quando chi riceve le immagini, invece di redarguire e denunciare chi le invia, prosegue a diffonderle con il chiaro intento di ledere la dignità del soggetto rappresentato e fargli del male.

Sembra importante sottolineare che il legislatore abbia espresso nell’articolo come sia doveroso e necessario che per la diffusione del materiale erotico debba sempre esserci il consenso, quindi questo deve essere espresso, chiaro, non estorto e non viziato da errore o dolo. Ciò comporta naturalmente che nel caso vi sia stata una qualche forma di consenso alla diffusione e questa venga violata, non si incorrerà in questo reato ma il altre forme di illecito.


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